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10 giugno 2009

Provate pure a credevi assolti siete lo stesso coinvolti

Xenofobia. Razzismo. Discriminazione. Intolleranza. Violenza. Aggressione. Menefreghismo. Nazionalismo. Raid punitivi. Sessismo. Omofobia. Coltelli alla cintura e mazza in mano. Morte.

Non vedo, non sento, non parlo, chissenefrega di quello che accade. Non voto, tanto non serve. Non mi interesso, tanto sono fatti altrui. Non guardo la società, ho già troppi problemi miei. Non mi preoccupo di quello che mi accade intorno, tanto non tocca mica me.

Potete crederlo quanto volete, potete sentirvi intoccabili, potete vivere nella vostra campana di cristallo, ma le vostre colpe non cambiano.


Provate pure a credevi assolti siete lo stesso coinvolti
Fabrizio De Andrè

6 marzo 2009

Mi chiedo che fine abbia fatto il senso di umanità

RIO DE JANEIRO - La Chiesa cattolica brasiliana ha scomunicato ieri i medici che qualche giorno fa hanno autorizzato l'aborto ad una bambina di 9 anni rimasta incinta in seguito alle violenze sessuali subite dal patrigno. "Chi ha realizzato l'aborto è stato scomunicato, si spera che queste persone, in un momento di riflessione, si pentano", ha dichiarato alla stampa l'arcivescovo di Recife, José Cardoso Sobrinho, mentre un gruppo di avvocati cattolici ha denunciato il caso alla giustizia. (...) Livio Moraes, primario presso l'ospedale dell'Università di Pernambuco, ha ricordato che la legge brasiliana "autorizza l'aborto in caso di stupro o pericolo di morte". Rispondendo a tale dichiarazione, l'arcivescovo Sobrinho ha sottolineato che "la legge di Dio è al di sopra della legge umana. Quando una norma promulgata da legislatori umani va contro la legge di Dio perde qualsiasi valore". (...) C'era il rischio che le emorragie e la rottura dell'utero mettessero a repentaglio la vita della piccola, che pesa 36 kg ed è alta 1,36 metri (...)

Questo è un estratto dell'articolo riportato dall'ANSA (cliccare per accedere alla pagina dell'articolo) sul caso della bambina di 9 anni stuprata dal patrigno e rimasta incinta di due gemelli.
Come ho già riportato in altri post, la mia famiglia è da sempre di confessione cattolica e come cattolica sono stata educata. Per motivi non legati alla religione, ho frequentato una scuola cattolica (NdR un istituto canossiano) sia per la scuola di infanzia che per la scuola primaria. Ad oggi sono una cattolica credente e praticante. Da questo punto di vista mi chiedo che fine abbia fatto il senso di umanità, il senso che la persona che abbiamo davanti è un essere umano. Ma di chi crede di parlare l'arcivescovo Sobrinho? Cosa ha nel suo cuore? Ha la ben che minima idea cosa voglia dire una gravidanza, per di più gemellare, su un corpicino di 136 centimetri? Se la vita dei nascituri va tutelata, che valore ha la vita di chi li porta in grembo?

9 febbraio 2009

Il mio più dolce addio

Non so che ci sia dopo che il cuore termina per sempre il suo lavoro e il computer di bordo, l'encefalo, smette di inviare segnali. Io so di credere in qualcosa, anche se bene non posso definirlo. Ma questo non importa ora; quello che io penso, quello che io credo, effettivamente non serve adesso.
Qualsiasi cosa ci sia dopo la morte, ti sussurro il mio più dolce addio.
Ciao Eluana.

8 febbraio 2009

La Costituzione Italiana non si tocca!

Sono realmente sconcertata da cosa si arriva a dire oggi, da cosa si mette in discussione! Cosa vuol dire: la Carta è una legge fatta molti anni fa sotto l’influenza della fine di una dittatura??? Spiegatemelo perchè io sinceramente non lo capisco. Anche la Costituzione degli Stati Uniti è stata fatta molti anni fa, molti più di quella italiana (1787), inseguito a una guerra d'indipendenza, eppure non mi pare che per i cittadini americani sia "scaduta", tanto meno per il loro presidente. Come si può parlare così della Carta sa cui si è giurata fedeltà? Come si può dire si vogliono attribuire dei poteri che secondo l'interpretazione mia e del governo non sono del capo dello Stato ma semmai spettano al governo?
Non posso che dare tutto il mio appoggio al Presidente del mio paese: Giorgio Napolitano.

19 novembre 2008

Da Terri Schiavo a Eluana Englaro

Tre giorni fa il Cardinale Ruini ha esordito asserendo "che non si aspettava un caso Terri Schiavo in Italia", ieri l'attuale presidente della CEI, il Cardinale Bagnasco afferma che "pur essendo poche le possibilità di recupero, lo stato vegetativo non può mai essere definito irreversibile". Sono affermazioni che mi danno di che pensare, come cittadina, parte integrante del tessuto sociale italiano, oltre che come cattolica. Intanto mi chiedo perchè l'Italia dovrebbe essere un zona geografica dove non possa esistere un "caso Terri Schiavo":
- forse in Italia non ci sono casi di Stati Vegetativi Permanenti come nel resto del mondo? Eccome se ci sono, anche se un modo distorto di vedere il mondo tende ad allontanare, isolare e insabbiare tragici avvenimenti come questi. E' facile non dare importanza a ciò che ci imponiamo di ignorare, così come scandalizzarsi quando qualcosa emerge dalla coltre di nebbia rendendo note le nostre ambiguità e voragini sociali. Tutto ciò che ci fa scomodo, che ci impone di pensare e riflettere viene chiuso nell'omertà, nel farsi i fatti propri "tanto queste cose non riguarderanno mai me".
E tornando al "caso Terri Schiavo" mi chiedo se sia effettivamente vera l'affermazione del Cardinale Bagnasco, se serva a riflettere o a rendere ancora più stagnante quello che è già assurdamente fermo in Italia.
(preso da http://en.wikipedia.org/wiki/Terri_Schiavo )
L'immagine che vedete qui sopra è la tomografia computerizzata del encefalo di Terri Schiavo (a destra) nel 2002, quando era ancora tenuta in vita, e di un paziente normale di 25 anni (a sinistra). La zona nera visibile in quello di Terri Schiavo indica la perdita di tessuto neurale, soppiantato da liquido. Le zone corticali (ossia quelle vicine alla scatola cranica e caratterizzate da creste) rimaste intatte sono poche e non funzionali (come è stato visto tramite EEG). Tutte ciò che era deputato a quella porzione di sistema nervoso è andato per buona parte perso e non è più ripristinabile. Non sono una neurologa, ma quel poco che so mi fa dubitare sulle possibilità di revertire lo stato vegetativo di situazioni come queste. Molti di noi con nonni o genitori con patologie neurodegenerative, quali Alzheimer e Demenza senile, hanno toccato con mano e toccano con mano quanto già relativamente "minori" lesioni dell'encefalo causano "perdite di abilità" anche gravi.
(preso da http://gamma.wustl.edu/ci001te117.html )
Qui sopra la tomografia di una donna di 76 anni affetta da demenza.
La persona in stato vegetativo probabilmente non è possibile considerarla biologicamente morta, o comunque è difficile determinare un confine netto. Ma anche se è così per legge un paziente può rifiutare le cure, rientra nei suoi diritti. E la nutrizione enterale, ossia il sondino naso-gastrico, è una terapia medica, così come lo è l'amputazione di un arto in caso di gangrena, o come il trapianto di fegato in caso di epatite fulminante, o come la trasfusione di sangue in caso di emorragia: sono disposizioni salva-vita a cui un paziente può rifiutare di sottoporsi per quanto assurdo possa sembrare al resto del mondo. Allora se i pazienti in stato vegetativo sono vivi e hanno i diritti di tutti pazienti, tra questi rientra il diritto di rifiutare cure mediche. Cosa è che manca? La coscienza sociale, l'informazione e quella che da troppi viene considerata un eresia: il testamento biologico. Se per me cattolica è vita anche quella in condizioni di stato vegetativo e desidero viverla, lo scrivo e quella è la mia e solo mia volontà, che non ha niente a che vedere con quella degli altri, con il senso che gli altri danno alla propria vita. Chi sono io per imporre la mia definizione di vita agli altri? E chi sei tu, resto del mondo, per imporre a me la tua definizione?
E' una questione di avere le palle (perdonatemi la parola poco fine) di aprire un dibattito serio che non coinvolga solo quelli "del mestiere" ma tocchi tutti perchè è qualcosa che riguarda tutti, e decidersi di colmare questo imbarazzante vuoto istituzionale e sociale.

6 luglio 2008

Distillato di violenza

Poco fa ho seguito la ricostruzione fatta da Carlo Lucarelli e dai suoi collaboratori sulla Banda della Uno Bianca. Prima di stanotte, i fatti del tempo li ricordavo per sommi capi, nel 1994 (anno dell'arresto dell'intera banda) ero una bambina a cui poco interessavano i tg (tranne che prima di quello delle 20:30 su Rai 2 fossero trasmessi i cartoni animati). Ora tento di immaginare quale fosse il clima di tensione vissuto a Bologna e dintorni in quegli anni e l'unico paragone che mi viene in mette è il clima che c'è stato nel nord-est italiano a causa di Unabomber: l'impossibilità di esser sicuri mentre si cammina e, soprattutto, il terrore per quelli che normalmente sono oggetti comuni, quali la Fiat Uno (a quei tempi certamente una delle auto più frequenti per le strade) o gli involucri dei Kinder Sorpresa.
Ma non è questo quello di cui ho voglia di scrivere, o meglio non è il fatto specifico in se per se, ma una domanda, un dubbio che ho da un po' di tempo: La civiltà umana ha per forza bisogno del suo "distillato quotidiano" di violenza per andare avanti, quale inconfondibile segno della sua evoluzione? Non voglio fare la ragazza filosofica, né tanto meno psicologa ma mi rendo conto come la mia curiosità non mi abbia permesso di cambiare canale durante la puntata di Blu notte - Misteri italiani e mi abbia portato a leggere libri quali il più famoso Romanzo criminale di De Cataldo, ma anche Fattacci di Cerami (narrazione di 4 omicidi che hanno "fatto epoca" nella seconda metà del secolo scorso), Poliziotto senza pistola di Serra (romanzo autobiografico sulla Milano degli anni di piombo) e Educazione di una canaglia di Bunker (libro che attualmente sto leggendo, romanzo autobiografico di questo scrittore di noir americani, reputato un caposaldo da Quentin Tarantino, giusto per rendere l'idea). La stessa curiosità che, all'indomani del massacro al Virginia Polytechnic Institute, mi portò a seguire uno special notturno sulla Columbine High School e a ricerche su internet. Il tentativo, quasi sciocco, era quello di capire, capire cosa possa passare per la testa di chi si sveglia la mattina con la decisione di compiere un massacro. L'unica frase che mi venne in mente, dopo tutto quello che avevo visto e letto, fu Cerco di capire, sebbene ho paura. Sì, cerco di capire, di entrare nei strani meccanismi della mente umana ma è solo per quello che obbligo i miei neuroni a una tempesta di scene violente? Si tratta solo di "menti distorte" che compiono atti, che tutto sembrano tranne che umani, e di "gente comune" che segue i fatti o è presente nel nostro inconscio un calice di violenza da riempire tramite atti diretti e/o indiretti al fine di "star bene" con il proprio inconscio? Fermandosi agli atti criminali tutto sembra così lontano, eppure scandagliando il quotidiano abbiamo di fronte tanti distillati di violenza sotto i nomi di violenza verbale, scontro fisico non giustificato durante una partita (e a me viene in mente la mia pallanuoto), bondage, sadomasochismo, film e libri horror, autolesionismo, violenza psicologica, piercing e tatuaggi (con questo non voglio inserire chi ha piercing o tatuaggi tra le persone violente, io sono la prima ad averne se guardate un post vecchio, ma di certo non annovero queste pratiche tra le più "gentili"), punizioni (che siano fisiche o no), ...
Il dubbio, quale tarlo della mia mente, mi rimane.

27 maggio 2008

Tra fede e pluralismo della società

Nuova "lezione" (per quanto è restrittiva come definizione) di bioetica, l'argomento trattato è l'aborto da più punti di vista: procedure ammesse in Italia e all'estero, legislazione italiana e di altri paesi, posizione della Chiesa Cattolica. In questi ultimi mesi l'escalation di slogan (alcune volte fin troppo simili al terrorismo psicologico) ha riportato in auge il dibattito mediatico, generando auditel e dibattiti più accesi che esemplificativi. Vado oltre le fazioni politiche che seguono la posizione pro-life (vedi Ferrara) o pro-choice (vedi Radicali ma non solo loro), non credo di aver né arte né parte per mettermi a disquisire sul loro punto di vista, ma provo a tirar fuori la mia posizione in questo mare di morale e leggi.
Per dare un background a quello che scrivo devo almeno citare la mia "educazione religiosa":
- figlia di una famiglia cristiana cattolica praticante (detto così sembra la definizione di una malattia genetica ereditaria...) con il pregio (o difetto, dipende dai punti di vista) di aver sì educato secondo la fede cristiana ma di non aver certo stressato (alias non hanno mai fatto discorsi sulla verginità fino al matrimonio&co.);
- ho seguito tutti i passi standard dell'educazione cattolica, meglio nota come catechesi;
- ho frequentato la scuola materna e primaria alle Canossiane (più per necessità di orario di lavoro dei miei che per il tipo di scuola in se, ma ciò non toglie che la maestra fosse una suora, che ogni sabato si leggesse il Vangelo della domenica, che tutte le recite fossero incentrate su avvenimenti delle Sacre Scritture, che fosse bandita qualsiasi tipo di parola volgare, additate come peccato quasi mortale [ho iniziato a dire le prime parolacce alla fine delle medie], etc etc ).
In tutto ciò si intercala il mio modo di essere, il mio carattere (la curiosità intrinseca a 360°, il mettere in discussione per capire, il non volere imporre il proprio modo di vedere ma comunque il voler sempre discutere [nell'accezione buona del termine], il prendere tutto o quasi con le pinze, etc) e i miei studi (uno fra tutti le biotecnologie mediche).
Ora, la mia posizione si scinde in due: personale e "pubblica". Personale, cioè quello che io (singolo individuo) farei, segue il credo cattolico per cui l'embrione è vita e di conseguenza non abortirei (da tener conto che sono parole di una che comunque non si è fin ora mai trovata nella situazione di dover scegliere, cioè sono in una posizione "difettiva"). Pubblica, cioè quella che seguo quale persona facente parte di una società, ha di base l'opinione che siamo un mondo pluralista, bisogna quindi trovare un compromesso per cui vengano rispettate anche posizione (e situazioni) differenti dalla mia: come posso imporre io a un'altra ragazza vittima di stupro (per esempio) di non abortire?
So che questo fa di me una persona ambigua o comunque non lineare, ma personalmente trovo poco ragionevole chi si chiude a riccio nel proprio pensiero e non si rende conto che non esiste il proprio micromondo esperienziale. Dicendo questo mi rendo conto del fatto che come persona cattolica dovrei difendere a spada tratta e in qualsiasi luogo il pensiero della Chiesa, ma come semplice persona non riesco a non aver dubbi, su questo argomento come su altri difesi dalla Chiesa (provate a spiegarmi senza frasi fatte gli atti impuri del sesto comandamento e come si possa star bene con se stessi se si ignora che abbiamo degli impulsi fisici, non essendo fatti di solo spirito [aggiungerei per fortuna]). Ancor di più come donna, intuisco che non è certo una scelta che si prende così facilmente ed ha comunque conseguenze a livello psichico, più che fisico, notevoli (spero, forse vanamente, che prima o poi nelle encicliche si parli semplicemente della donna in quanto tale e non ristretta nella visione di moglie e/o di madre). Concludo dicendo che una legge che regolamenti l'aborto (e non che lo renda un diritto di libertà o di privacy, come alcuni pensano) non impone certo a me di abortire se lo trovo sbagliato, allo stesso tempo tiene conto di posizioni e situazioni differenti, che in uno Stato credo sia una delle priorità.

14 maggio 2008

Morale e cultura

Appena finita la lezione di bioetica e sono, non so come dire...mentalmente svuotata. Definirla lezione non è esatto, è più simile a un forum con un moderatore (la professoressa) che ci da input, ci corregge, ci pone domande, ci da' punti di vista. per me è quasi impossibile prendere appunti perchè capire il confine tra la strada principale (ossia il programma del corso) e quelle secondarie imboccate in seguito a domande, aneddoti o altro, è veramente difficile. L'argomento odierno era lo Statuto dell'embrione, anzi è l'argomento che tentiamo di approcciare dalla scorsa lezione ma nuovamente si è terminato parlando di altri argomenti, altrettanto interessanti. Quello di oggi è nato parlando del relativismo etico, o meglio sulla possibilità che io, persona appartenente a una data cultura, giudichi immorale e influenzi la cultura di altre persone e le azioni che derivano da essa (trovare parole giuste per ciò che scrivo non è facile, ci provo ma allo stesso tempo è da prendere con le pinze); da qui si possono vedere due posizioni: chi crede non si possa fare ciò se per l'altra cultura l'azione è morale (cioè positiva), per quanto possa esser immorale secondo la propria e chi crede che così facendo si ricada nel relativismo etico di fronte azioni che, pur essendo morali secondo quella cultura, vadano a ledere la persona (e quindi immorali). Porto l'esempio fatto in classe dalla professore (su cui abbiamo discusso, per quanto in modo non esaustivo, durante la lezione) evitando di riportare tutto quanto (anche per motivi di tempo). Si tratta dell'infibulazione, in alcune culture (che non corrispondono a una specifica religione) è praticata e ritenuta morale (al punto di difenderla strenuamente), in altre quale quella a cui appartengo la sola parola fa inorridire. Sembrerebbe dunque ovvio, dal punto di vista della mia cultura, impedire e sanzionare questa pratica (come regolato da una legge approvata nel gennaio 2006) ma quanto possiamo essere sicuri che questa strada adotta sia quella giusta? quanto la nostra cultura possa invadere, senza se e senza ma, un'altra cultura? La prima obiezione/risposta a questa ultima domanda è l'atto stesso di mutilazione genitale e quello che consegue nella vita di quelle donne, ma non risolve completamente la questione. Infatti, in una convention di donne filosofe tenuta anni fa (tra cui donne su cui era stata praticata l'infibulazione), uscirono fuori ulteriori questioni poste dalle stesse. Prima di riprendere queste questioni aggiungo che nelle culture in questione l'essere infibulate è necessario per essere accettate all'interno della "società" stessa, quindi per avere in futuro una famiglia, un po' alla stregua del battesimo, atto necessario per rientrare nella "società" cristiana (per quanto ripento che l'infibulazione non è legata ad alcuna religione ma è un fatto culturale). Si tratta quindi di un rituale che ha in se dei significati che vanno al di là del controllo dell'attività sessuale della donna, in cui non mi addentro in quanto ignorante in materia. Comunque quello che obiettarono alle donne occidentali fu:
- se per voi è più importante l'integrità del corpo, per noi è importante l'esser accettate dentro la società e quindi avere la possibilità di avere una famiglia e un futuro.
- se voi praticate chirurgia estetica per essere accettate dalla società in cui siete, cosa impedisce noi di esser infibulate?
Si tratta quindi anche di essere accettate, qualcosa comune a tante donne, per non dire a tutte. Per quanto macabro, è assimilabile a un canone estetico non poi così lontano da quello ricercato da chi ricorre al silicone al seno, alla liposuzione estetica, etc (per cui ricordo che alcune donne sono rimaste deturpate per sempre e altre sono morte). Siamo quindi veramente in grado di dare un giudizio di immoralità?
La realtà dei fatti è che la legge vigente non risolverà il problema legato all'infibulazione, un approccio più proficuo sarebbe stato quello di cercare un dialogo con la cultura (quindi non con i singoli casi) a cui far notare quello che comporta come mortalità e problemi successivi tale pratica e magari trovare un "compromesso" qualcosa che mantenga il rituale ma elimini il danno fisico-psichico. A proposito cito la proposta fatta nel 2004 da Omar Abdulkadir di un "rito alternativo" ossia una piccola puntura di spillo sulla clitoride della bambine, sotto anestesia e completamente innocuo ma che mantenesse il significato rituale. Allora la proposto accese il dibattito e soprattutto i pareri contrari che diventarono presto una bufera. Allora sorge la mia domanda provocatoria: possiamo noi impedire effettivamente alla Chiesa Cristiana il battesimo? Allo stesso modo possiamo togliere a queste culture il senso di questo rituale?