11 gennaio 2009

Un uomo chiamato Fabrizio de Andrè


Ho terminato con una strofa di questa canzone il mio saggio breve alla prima prova della maturità, parlavo di libertà. La stessa strofa l'avevo scritta sul mio banco, con l'Uniposca, il terzo giorno di scuola del quinto liceo, oltre che sulla mia scrivania. Era poco più che il principio della mia passione per la voce, la musica, i testi, l'arte di Fabrizio de Andrè. Ricordo vagamente quando è morto, ragazzina di seconda media quale io ero. Questo evento mi ha permesso di iniziare ad avvicinarmi al suo modo di fare musica.
Inizia a ascoltare le sue canzoni più famose, poi quelle un po' meno. In secondo liceo, il prof di italiano ci disse di portare un testo di una canzone e di spiegare perché ci piace, cosa vuole dire per noi quella canzone; io scelsi Il Blasfemo.
Non seguivo una linea, un ordine nella "conoscenza" (se così si può dire) di de Andrè, seguivo per lo più le emozioni adolescenziali, gli stati d'animo che turbavano i miei neuroni in quel periodo.
Ora nel mio portatile c'è quasi tutta la discografia di Fabrizio de Andrè, mi mancano solo gli inediti trovati qualche anno fa. Non lo ascolto sempre, ma ogni volta benvolentieri. In alcuni periodi mi "impallo" con una canzone, ascoltandola a ripetizione.
In un certo senso, ascoltandolo, cercando di esplorare il mondo che raccontava, tento di compensare il fatto di esser arrivata tardi e di non aver più la possibilità di ascoltare dal vivo la sua voce, ma solo attraverso uno schermo o un paio di auricolari.

1 commento:

  1. la sua poesia sarà sempre con noi,
    e il suo ricordo ogni volta che passo per i vicoli che amava

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