Poco fa ho seguito la ricostruzione fatta da Carlo Lucarelli e dai suoi collaboratori sulla Banda della Uno Bianca. Prima di stanotte, i fatti del tempo li ricordavo per sommi capi, nel 1994 (anno dell'arresto dell'intera banda) ero una bambina a cui poco interessavano i tg (tranne che prima di quello delle 20:30 su Rai 2 fossero trasmessi i cartoni animati). Ora tento di immaginare quale fosse il clima di tensione vissuto a Bologna e dintorni in quegli anni e l'unico paragone che mi viene in mette è il clima che c'è stato nel nord-est italiano a causa di Unabomber: l'impossibilità di esser sicuri mentre si cammina e, soprattutto, il terrore per quelli che normalmente sono oggetti comuni, quali la Fiat Uno (a quei tempi certamente una delle auto più frequenti per le strade) o gli involucri dei Kinder Sorpresa.
Ma non è questo quello di cui ho voglia di scrivere, o meglio non è il fatto specifico in se per se, ma una domanda, un dubbio che ho da un po' di tempo: La civiltà umana ha per forza bisogno del suo "distillato quotidiano" di violenza per andare avanti, quale inconfondibile segno della sua evoluzione? Non voglio fare la ragazza filosofica, né tanto meno psicologa ma mi rendo conto come la mia curiosità non mi abbia permesso di cambiare canale durante la puntata di Blu notte - Misteri italiani e mi abbia portato a leggere libri quali il più famoso Romanzo criminale di De Cataldo, ma anche Fattacci di Cerami (narrazione di 4 omicidi che hanno "fatto epoca" nella seconda metà del secolo scorso), Poliziotto senza pistola di Serra (romanzo autobiografico sulla Milano degli anni di piombo) e Educazione di una canaglia di Bunker (libro che attualmente sto leggendo, romanzo autobiografico di questo scrittore di noir americani, reputato un caposaldo da Quentin Tarantino, giusto per rendere l'idea). La stessa curiosità che, all'indomani del massacro al Virginia Polytechnic Institute, mi portò a seguire uno special notturno sulla Columbine High School e a ricerche su internet. Il tentativo, quasi sciocco, era quello di capire, capire cosa possa passare per la testa di chi si sveglia la mattina con la decisione di compiere un massacro. L'unica frase che mi venne in mente, dopo tutto quello che avevo visto e letto, fu Cerco di capire, sebbene ho paura. Sì, cerco di capire, di entrare nei strani meccanismi della mente umana ma è solo per quello che obbligo i miei neuroni a una tempesta di scene violente? Si tratta solo di "menti distorte" che compiono atti, che tutto sembrano tranne che umani, e di "gente comune" che segue i fatti o è presente nel nostro inconscio un calice di violenza da riempire tramite atti diretti e/o indiretti al fine di "star bene" con il proprio inconscio? Fermandosi agli atti criminali tutto sembra così lontano, eppure scandagliando il quotidiano abbiamo di fronte tanti distillati di violenza sotto i nomi di violenza verbale, scontro fisico non giustificato durante una partita (e a me viene in mente la mia pallanuoto), bondage, sadomasochismo, film e libri horror, autolesionismo, violenza psicologica, piercing e tatuaggi (con questo non voglio inserire chi ha piercing o tatuaggi tra le persone violente, io sono la prima ad averne se guardate un post vecchio, ma di certo non annovero queste pratiche tra le più "gentili"), punizioni (che siano fisiche o no), ...
Il dubbio, quale tarlo della mia mente, mi rimane.
oggi è domenica, non pensare alle "menti distorte" ... concediti un po' di relax...
RispondiEliminaLucarelli lo adoro... è un grande!
buona domenica
smack
Grazie per essere passata nel mio blog.
RispondiEliminaIo ricordo bene la storia della banda della uno bianca, anzi, quando ne vedevo una in giro, non potevo fare altro che pensarci.
Sai?! Spesso, si dice di chi commette atti efferati che "sembrava una persona perbene", io non so fino a che punto sia credibile una frase del genere, perché l' aggressività si mostra in mille modi.
La gente non osa parlare più per paura, ed è per questo che capitano assurdità del genere.
Buona giornata ^^