Ma quello che più mi ha sorpreso è stato il responso (e non solo perché abbastanza articolato):
"Sei una persona estremamente complessa. E molto, molto interessante. Ti distingui certamente dalla massa, a volte forse isolandoti, o sentendoti incompreso, per questo. Sei molto profondo, e cerchi spesso un qualcosa che sembra sfuggirti, a volte hai impressioni e sensazioni che vorresti focalizzare meglio perché sai che ti stanno dicendo qualcosa di importante sulla vita. Sei innamorato del passato, e dei ricordi, soprattutto di quelli che giungono inaspettati, portati con sé come in una brezza primaverile da un odore, da un sapore, da un particolare apparentemente insignificante. Ed è proprio il particolare, il dettaglio, ad affascinarti, in tutto ciò che ti circonda, e anche in amore. I gesti di una persona, il suo modo di comunicare oltre le parole. Sei anche un amante dell’arte e del bello, della musica, di tutto ciò che esprime in modo diretto emozioni e percorsi dell'anima. Per te, un’opera colossale, unica e irripetibile, una delle più grandi creazioni della letteratura di tutti i tempi: “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust"
Al di là del "molto, molto interessante" che ovviamente è un parere soggettivo a ogni persona, il resto è tutto esatto. Ovviamente non descrive tutto di me, ma quello che descrive è quasi assurdamente corretto.
Excursus. Ho aperto un vasetto di fichi bolliti, che mia madre aveva diligentemente preparato sottovuoto. Chi non è mai stato a contatto con le tradizioni calabresi probabilmente non ne ha mai sentito parlare e si chiederà "Che cappero sono?". In un certo qual senso sono dei dolci, anche se non è esatto. Credo che sia più corretto dire che fanno parte di una Tradizione che sin da piccola ho visto compiere anno dopo anno dai miei nonni materni. Tutto parte dalla raccolta dei fichi, quelli che maturano nei mesi estivi: mio nonno andava nell'orto con un bastone a uncino e un "panaru" (un cesto dotato di manico fatto di vimini). Man mano che li raccoglieva, li divideva e una parte li metteva sulle "cannizze" (questa è meno facile da spiegare, sono delle ripiani fatti di vimini intrecciati) per farli seccare al sole, girandoli ogni giorno. Una volta essiccati (e comunemente chiamati fichi secchi), c'erano svariati destini:
- un certo numero li mangiavo io ancora prima che venissero ulteriolmente lavorati
- una parte veniva utilizzata per fare le "crucette"; ossia quattro fichi aperti e posti a croce, farciti con gherigli di noci, successivamente infornati e infine cosparsi di "mele i ficu" (che tra poco spiego cosa è) caldo
- un'altra parte veniva bollita in un grosso calderone di alluminio, reso nero dal fuliggine del fuoco, per uno svariato numero di ore (che adesso non ricorso) rimestando spesso. Una volta cotti a puntino potevano esser consumati così come sono (fichi bolliti), ricoperti di cioccolato o conservati nei "padduni", ossia posti dentro foglie di fico e di arancio a formare una palla che poi viene infornata.
Il "mele i ficu" (ossia il miele di fichi) è invece fatto con i fichi freschi bolliti (sempre nel grosso pentolone per uno svariato numero di ore). Una volta cotti a dovere, sono posti in una specie di torchio e pressati per far uscire un liquido color ambra/ambra scuro, che poi verà ulteriolmente ridotto di 2/3 sul fuoco.
Di anno in anno ho visto compiere questa routine, questa tradizione, finché i miei nonni hanno potuto. Mi sembra ancora di vederle davanti a me le distese di "cannizze", il "panaru" colmo. Sono bellissimi ricordi. Come dice il test io sono un innamorata di ricordi.
dovrò farlo quel quiz e vedere cosa risulta di me.... eheheheheheh
RispondiEliminaho fatto quello sulle Desperate Housewife e sono risultata Susan... O_O
però sono una che legge molto... voglio vedere se di me verrà fuori che sono un topo di biblioteca... ehehehe
ciao e buon weekend