29 giugno 2010

Switch on switch off

Alcuni giorni ti connetti con il mondo in modo discontinuo, un po' ci sei, un po' no. Fondamentalmente vai avanti grazie al cervelletto che ti permette di fare tutto ciò per cui non ti serve il supporto della corteccia cerebrale: preparare le slide per il lab meeting; mangiare; camminare; in alcuni momenti anche ascoltare e rispondere.

Oggi facevo un po' a cazzotti con la realtà ma non per un motivo particolare, semplicemente non riuscivo a starci dentro e ogni spunto era buono per evadere. Non pensavo neanche, è da un po' che non ho voglia di affrontare i miei pensieri, temo quello che penserei di me stessa, sapendo che tra mezzo pieno e mezzo vuoto prevale quest'ultimo. Ho paura di scoprirmi in ritardo rispetto alle mie idee, ai miei sogni.
E' un fatto di tempistica. Un frutto colto troppo presto o troppo tardi potrà avere aspetto, sapore e odore diverso ma in entrambi i casi il finale è lo stesso: non lo puoi mangiare. Io vado a burst: tanto insieme per breve tempo. Altalenante, costanza ridotta all'osso. Ci provo ma non trovo il quid che mi cambi ed essere consapevole che così non vado avanti a lungo non aiuta. E' come quando sbaglio le prese a judo: mi rendo conto razionalmente dell'errore, sono la prima a farlo notare ma comunque non riesco a evitarlo. Oppure come quando razionalmente so che sto per dire una cazzata quando non dovrei, eppure lo faccio. Sembra che quella parte di cervello di disconnettesse nel momento in cui serve.
Voglio tagliare via un po' di me, tagliare via quello che mi tiene qui, che mi fa gongolare in cose inesistenti, che mi mangia il tempo, che non mi fa dare il massimo. Ma se ogni volta che me lo ripropongo (costantemente) non sono capace di farlo significa che mi manca qualcosa. E la possibilità che non sia possibile cambiare non è contemplata.

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