24 giugno 2010

Vuoto

Sono abituata a ostentare tranquillità e indifferenza, far finta di niente quando potrei essere notata da altri. Da una parte è "comodo" essere glaciali, mostrare che tutto scivola via; può sembrare assurdo dirlo, ma è "comodo" perché tiene a distanza le persone, si crea una sorta di barriera trasparente tra te e il resto del mondo.

Al funerale di mia nonna ero subito dietro il carro funebre, l'unica accanto a mio padre. Guardavo avanti o mio padre, intorno a me c'era metà paese ma ho fatto finta che non esistesse, ho fatto finta di non sentire gli sguardi e il vociare. Mai un passo meno fermo, mai tirar su con il naso, mai cercare appoggio. Stringevo ogni tanto il braccio intorno a mio padre per dirgli che c'ero, prima dell'inizio della processione ho fatto lo stesso con mia madre. In chiesa mi sono seduta in prima fila, accanto mio padre: non mi piaceva come posizione ma sentivo una sorta di senso del dovere che mi "imponeva" di non lasciarlo da. Non credo di aver mai abbassato lo sguardo durante la messa, tranne quando lo richiedeva il cerimoniale. Se sentivo che la situazione potesse sfuggirmi facevo respiri profondi e lenti.
In un paese meridionale certe cerimonie sono ancora più lunghe, tanti convenevoli, troppa ipocrisia, poche le parole e gli sguardi sinceri, specie se non sei di lì e vieni considerato un intruso. Io ho ostentato una tranquillità quasi inumana perché questo è il mio modo di vivere le situazioni. So che questo era ciò che percepiva chi mi stava intorno, so che più di una persona ha commentato questo atteggiamento ma non mi interessa.
A più di un mese di distanza dentro di me c'è ancora il vuoto e non so quando passerà, non me lo chiedo. Basta che riesco a controllarlo.

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